Diabete tipo 1: trapianto senza immunosoppressione

Diabete tipo 1: trapianto senza immunosoppressione

Un paziente produce insulina grazie a cellule ingegnerizzate

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Per la prima volta, un paziente affetto da diabete di tipo 1 da oltre trent’anni ha ricevuto un trapianto di isole pancreatiche allogeniche senza dover assumere farmaci immunosoppressivi. L’intervento, descritto in uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, è stato condotto presso l’Università di Uppsala, in Svezia, e rappresenta una pietra miliare per la diabetologia moderna.

Il paziente ha ricevuto cellule pancreatiche modificate, parte di una terapia sperimentale chiamata UP421. Le cellule, ottenute da un donatore, sono state geneticamente ingegnerizzate per sfuggire al sistema immunitario, evitando così il rigetto. Il trapianto è stato eseguito nel muscolo dell’avambraccio, una scelta dettata da motivi tecnici e di sicurezza, che permette un monitoraggio accurato e l’eventuale recupero delle cellule.

Le cellule modificate sono state private di due segnali immunitari fondamentali (HLA di classe I e II), che normalmente attivano il sistema immunitario. In aggiunta, è stata inserita una proteina protettiva chiamata CD47, capace di comunicare al sistema immunitario di non attaccare le cellule impiantate. Questa combinazione innovativa ha permesso alle cellule di sopravvivere nel corpo del paziente senza immunosoppressione.

Anche se la quantità di cellule trapiantate era molto bassa (meno del 10% di una dose terapeutica standard), è stato osservato un minimo ma rilevabile rilascio di C-peptide, un indicatore della produzione endogena di insulina. Ciò dimostra che le cellule sono vive e funzionanti a distanza di settimane dal trapianto, senza essere state rigettate.

Tuttavia, gli effetti clinici al momento sono limitati: il fabbisogno insulinico del paziente è aumentato e il miglioramento del controllo glicemico sembra essere attribuibile a una gestione terapeutica più intensiva, piuttosto che all’effetto diretto del trapianto.

Secondo gli esperti, questo risultato rappresenta una “prova di principio”, non ancora una terapia efficace. Ma la sua importanza risiede nella dimostrazione che è possibile far sopravvivere cellule pancreatiche geneticamente modificate nell’uomo senza l’uso di farmaci immunosoppressivi, che sono spesso associati a gravi effetti collaterali.

“È un primo passo concreto verso una nuova generazione di terapie cellulari per il diabete”, ha spiegato il professor Lorenzo Piemonti, direttore del Diabetes Research Institute di Milano. “La vera sfida, ora, è trasferire questo approccio alle cellule staminali, rendendolo sicuro, riproducibile e accessibile a tutti i pazienti.”

Il trapianto è stato reso possibile da una collaborazione internazionale tra l’Università di Uppsala, il laboratorio Gmp di Oslo e la società Sana Biotechnology, che ha sviluppato la piattaforma tecnologica utilizzata per modificare geneticamente le cellule.

Secondo Raffaella Buzzetti, presidente della Società Italiana di Diabetologia, “la possibilità di trapiantare cellule senza immunosoppressione potrebbe rivoluzionare il trattamento del diabete, riducendo i rischi e migliorando la qualità della vita di milioni di pazienti”.

Ulteriori studi clinici, sono necessari per un numero maggiore di pazienti e con un follow-up più lungo, per valutare la durata e l’efficacia dell’effetto osservato. L’obiettivo finale è sviluppare una terapia standardizzata basata su cellule staminali ingegnerizzate, che superi i limiti legati alla disponibilità di donatori.

(Fil/Adnkronos Salute)

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