Test del DNA fetale rileva tumori in gravidanza

Studio NIH apre nuovi scenari nello screening oncologico

Test del DNA fetale rileva tumori in gravidanza

Test del DNA fetale rileva tumori in gravidanza

Test del DNA – Un recente studio del National Institute of Health (NIH), pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha rivelato una sorprendente capacità dei test del DNA fetale: identificare potenziali tumori nella madre. Questo test, sviluppato inizialmente per individuare anomalie cromosomiche nel feto, potrebbe rivoluzionare lo screening oncologico grazie alla sua sensibilità nell’evidenziare anomalie genetiche che indicano la presenza di neoplasie.

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La ricerca ha coinvolto 107 donne, in gravidanza o che avevano concluso la gestazione negli ultimi due anni, senza diagnosi oncologiche pregresse. Tutte avevano effettuato il sequenziamento del DNA circolante nel primo trimestre di gravidanza in 12 laboratori nordamericani. In caso di risultati anomali non correlati al cariotipo fetale, le partecipanti sono state sottoposte a un iter diagnostico approfondito, includendo risonanza magnetica total body e analisi genetiche avanzate.

I risultati sono impressionanti: nel 48,6% dei casi, le anomalie riscontrate nel test del DNA fetale erano correlate alla presenza di un tumore nella madre. Tra i 52 casi diagnosticati, i linfomi sono risultati i più comuni (31 casi, di cui 20 linfoma di Hodgkin), seguiti da carcinomi del colon-retto (9), tumori mammari (4), e altre neoplasie come sarcomi e carcinomi polmonari.

La metodologia si basa sul sequenziamento del DNA libero circolante (cfDNA) nel plasma delle donne in gravidanza, una tecnica che ha già trasformato lo screening prenatale per anomalie cromosomiche. Negli Stati Uniti, questa tecnologia è diventata una pratica standard, mentre in Italia è ancora limitata a servizi a pagamento in alcune Regioni. Tuttavia, il suo potenziale supera la diagnosi fetale, poiché il cfDNA materno può contenere frammenti tumorali, indicando la presenza di cellule cancerose.

Un elemento chiave dello studio è stato distinguere tra anomalie derivanti dal feto e quelle imputabili a una possibile neoplasia materna. Le analisi genetiche e la risonanza magnetica si sono rivelate strumenti complementari essenziali per convalidare i risultati. La risonanza ha mostrato una sensibilità del 98% e una specificità dell’88,5%, confermando la sua efficacia come metodo diagnostico non invasivo.

Secondo la dottoressa Diana Bianchi, coordinatrice dello studio, “La gravidanza o l’assenza di sintomi evidenti non dovrebbero ritardare indagini approfondite, come l’imaging totale, per le pazienti con risultati sospetti”. Una diagnosi precoce, infatti, potrebbe migliorare significativamente le possibilità di trattamento e sopravvivenza.

Un aspetto cruciale emerso dallo studio è che il 55,8% delle donne con tumore era asintomatico al momento della diagnosi, mentre il 25% presentava sintomi attribuiti erroneamente alla gravidanza. Ad esempio, un caso di dolore epigastrico diagnosticato inizialmente come reflusso gastrico si è rivelato un carcinoma pancreatico.

La ricerca del NIH è stata accompagnata da un editoriale firmato dalla dottoressa Neeta Vora, direttrice del Centro di Genetica Riproduttiva dell’Università della North Carolina. Già nel 2013, Vora aveva documentato uno dei primi casi di tumore individuato tramite cfDNA in gravidanza. “È fondamentale che ginecologi e oncologi siano informati sulle implicazioni oncologiche di questi test”, scrive Vora, sottolineando l’importanza di un approccio multidisciplinare per sviluppare percorsi diagnostici e assistenziali mirati.

Nonostante le promettenti conclusioni dello studio, permangono sfide significative. La necessità di validare ulteriormente i modelli di sequenziamento e di stabilire protocolli standardizzati per la gestione dei risultati anomali richiede impegno da parte di comunità scientifiche e laboratori. Inoltre, l’accesso universale a tali tecnologie resta un obiettivo lontano in molti Paesi, Italia inclusa.

Questa ricerca apre una nuova prospettiva nell’utilizzo del test del DNA fetale, proponendolo non solo come strumento di screening prenatale ma anche come mezzo per individuare patologie oncologiche in giovani donne asintomatiche. Un’innovazione che, se confermata, potrebbe rappresentare un’importante svolta nella diagnosi precoce del cancro.

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