Scoperto anticorpo contro placche amiloidi che causano Alzheimer

e sempre per questa terribile malattia grande passo in avanti per migliorare lo screening nella popolazione anziana

 
Chiama o scrivi in redazione


Scoperto anticorpo contro placche amiloidi che causano Alzheimer

E’ stato scoperto un anticorpo che fa sparire le placche amiloidi che causano l’ Alzheimer. Molto prima che le persone inizino a mostrare i sintomi caratteristici della malattia, infatti, queste placche iniziano a formarsi nel cervello, danneggiando le cellule vicine.

© Protetto da Copyright DMCA

I ricercatori della Scuola di medicina dell’ Università di Washington hanno scoperto un anticorpo (l’ Hae-4) che non solo colpisce la proteina Apoe delle placche amiloidi ma la spazza via. I risultati del loro lavoro (effettuato per ora sui topi) sono stati pubblicati sul Journal of Clinical Investigation.

Spiegano gli studiosi come molte persone accumulino il maggior costituente delle placche (chiamato beta-amiloide) per molti anni e il cervello non riesca a liberarsene.

Rimuovendo le placche, con una diagnosi precoce, potrebbe essere possibile fermare tutti quei cambiamenti nel cervello che portano al calo della memoria, alla confusione e al declino cognitivo. I ricercatori hanno notato come l’ anticorpo Hae-4 colpisca direttamente l’ Apoe riducendo così il danno causato causato dalle placche amiloidi. Inoltre, grazie alla sperimentazione è stato scoperto come l’ Hae-4 non ha avuto alcun effetto sui livelli di Apoe che sono invece presenti nel sangue.

Questa proteina, infatti, svolge un ruolo importante nel trasporto di grassi e colesterolo nel corpo, quindi rimuoverlo dal flusso sanguigno potrebbe portare a effetti collaterali indesiderati. Questa selezione è giustificata dagli studiosi perché la proteina Apoe presenti nelle placche ha una struttura diversa rispetto a quella presente nel plasma.

La perdita di cellule che producono dopamina – un neurotrasmettitore che ha un certo numero di funzioni, tra cui la regolazione del movimento e delle risposte emotive – può causare il malfunzionamento della parte del cervello responsabile della formazione di nuovi ricordi.

Lo hanno scoperto un gruppo di scienziati dell’ Universita’ di Sheffield (Gran Bretagna) e rappresenta una conferma importante su una delle possibili cause dell’ Alzheimer, individuata in origine da uno scienziato italiano, Marcello D’ Amelio dell’ Universita’ Campus Bio-Medico di Roma, in condizioni di laboratorio.

L’importante studio, che potrebbe promettere un grande passo in avanti nello screening, è stato pubblicato sul Journal of Alzheimer’ s Disease.

SCREENING

Una scoperta che potrebbe rivoluzionare gli screening per individuare i primi segnali dell’ Alzheimer – patologia che colpisce oltre 600mila persone in Italia e 47 milioni in tutto il mondo, destinate a triplicarsi entro il 2050 – cambiando il modo in cui le scansioni cerebrali sono acquisite e interpretate, cosi’ come l’ utilizzo di differenti test per la memoria.

LA SCOPERTA

“La nostra scoperta indica che se una piccola area di cellule del cervello, chiamata area tegmentale-ventrale, non produce la corretta quantità di dopamina per l’ ippocampo, un piccolo organo situato dentro il lobo temporale, quest’ ultimo non funziona piu’ in modo efficiente”, ha spiegato Annalena Venneri dello Sheffield Institute for Translational Neuroscience (SITraN) e autrice dello studio.

L’ ippocampo – ha proseguito – e’ associato con la formazione di nuovi ricordi, per questo tale scoperta e’ cruciale per la diagnosi precoce dell’ Alzheimer. Il risultato mostra un cambiamento che scatta repentinamente e che puo’ innescare l’ Alzheimer.

Questo e’ il primo studio al mondo che e’ riuscito a dimostrare questo collegamento negli esseri umani”. Venneri e il co-autore Matteo De Marco hanno acquisito risonanze magnetiche a 3Tesla di 51 adulti sani, di 30 pazienti con diagnosi di decadimento cognitivo lieve e di 29 pazienti con diagnosi di Alzheimer.

Le risonanze a 3Tesla hanno il doppio della potenza delle normali scansioni RMN e sono cosi’ in grado di produrre immagini della migliore qualita’ possibile. I risultati hanno dimostrato un legame-chiave tra le dimensioni e la funzionalita’ dell’ area tegmentale-ventrale, le dimensioni dell’ ippocampo e l’ abilita’ a imparare nuovi concetti.

Sono necessari ulteriori studi, ma questa scoperta puo’ potenzialmente condurre a un nuovo modo di intendere gli screening per la popolazione anziana in caso di primissimi segnali di Alzheimer, cambiando la modalita’ in cui vengono acquisite e interpretate le scansioni diagnostiche del cervello e utilizzando differenti test per la memoria”, ha detto Venneri.

Un altro possibile beneficio di questa scoperta – ha aggiunto – e’ che potrebbe portare a un’ opzione di trattamento differente della malattia, con la possibilita’ di cambiarne o fermarne il corso molto precocemente, prima che si manifestino i principali sintomi. Adesso vogliamo stabilire quanto precocemente possono essere osservate le alterazioni nell’ area tegmentale-ventrale e verificare anche se queste alterazioni possono essere contrastate con trattamenti gia’ disponibili”.

 

Commenta per primo

Lascia un commento