Cura Aids, in arrivo farmaci per trattamento a lungo termine Farmaci “long-acting” per i pazienti con Aids sono in arrivo. E’ una delle novità emerse in occasione del congresso nazionale ICAR, Italian Conference on AIDS and Antiviral Research, che si e’ tenuto a Roma. La terapia antiretrovirale, quindi, e’ alle soglie di una nuova era, potenzialmente in grado di rivoluzionare sia la logistica individuale sia l’ intero profilo organizzativo.
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Carlo Federico Perno, professore ordinario di Microbiologia e Virologia all’ Universita’ degli Studi di Milano e presidente del congresso Icar 2018, ha detto che: «L’ area dei farmaci “long acting” risponde bene a questa nuova esigenza. Oggi abbiamo farmaci potenti, scarsamente tossici, e con caratteristiche che rendono possibile l’ impostazione di trattamenti a somministrazioni dilazionate. Non solo, abbiamo la possibilità di utilizzare strumenti, come alcuni devices posizionati sottocute, in grado di rilasciare concentrazioni costanti di farmaco nel tempo, anche per mesi».
Gli studi clinici per la valutazione di queste terapie long-acting sono molto avanzati.
«Nell’ arco di 2-3 anni – aggiunge -,avremo quindi, molto probabilmente, i primi di questi farmaci long-acting, somministrati per iniezione, con frequenza mensile o addirittura bimestrale, senza alcun supporto di terapia orale, in persone che abbiano già raggiunto, con terapia antivirale tradizionale, livelli di carica virale non rilevabile».
Somministrazione una volta al mese o ogni due
Stando a quanto è emerso durante il congresso nazionale ICAR, la somministrazione una volta al mese, o addirittura ogni due mesi, senza necessita’ di rifornirsi continuamente di farmaci in pillole, rappresenta una possibilita’ concreta della terapia antivirale del prossimo futuro.
Tra i vantaggi: facilita’ di somministrazione, mantenimento di concentrazioni stabili di farmaco, riduzione dei rischi di non aderenza.
Non sono tutte rose e fiori però…
Ci sono, pero’ , anche dei contro: la perdita della percezione dell’ infezione con conseguente aumento dei comportamenti a rischio, e l’ eventuale tossicità , controllabile con più difficoltà.
Perno afferma che: “I primi dati tendono a favorire i vantaggi e non evidenziano particolari svantaggi tuttavia serviranno dati solidi, derivanti dai trials clinici controllati, per confermare i risultati altamente promettenti finora ottenuti”.
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Se tutto ciò sara’ confermato, quindi, si apriranno nuove frontiere per il trattamento a lungo termine della malattia da HIV.
La soluzione più vicina, ormai in avanzato stato registrativo, e’ rappresentata dai farmaci Cabotegravir e Rilpivirina.
- Il primo appartiene alla categoria degli inibitori dell’ integrasi, e strutturalmente e’ molto simile al gia’ celebratissimo Dolutegravir disponibile per via orale.
- Il secondo e’ un inibitore non-nucleosidico della transcriptasi inversa, gia’ in commercio da alcuni anni.
L’ evoluzione delle tecnologie dell’ area farmaceutica ha reso possibile una notevole riduzione del volume di farmaco da iniettare, formulando inoltre le molecole in modo da essere rilasciate in circolo in maniera e misura costanti.
Il Professor Giovanni Di Perri, Consigliere SIMIT e Direttore della Clinica di Malattie Infettive dell’ Universita’ degli Studi di Torino, ha detto che: “Il potenziale vantaggio apportabile da questa soluzione a due farmaci appare ovvio secondo diverse prospettive”.
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Innanzitutto la comodità di poter evitare l’ impegno quotidiano da rispettare nel caso della terapia orale, un aspetto operativo che di fatto annulla ogni possibile istanza di aderenza subottimale legata a fattori comportamentali individuali.
«Questa forma di terapia – ha aggiunto lo scienziato – e’ infatti al momento prevista sotto diretto monitoraggio del centro infettivologico che ha in cura il paziente, e non si presta ad inopportune variazioni legate appunto al comportamento del paziente».
In seconda istanza occorre considerare l’ attuale profilo demografico della popolazione di pazienti in cura, sempre piu’ compresi nell’ eta’ matura e pertanto portatori di comorbosita’ necessitanti altrettante soluzioni terapeutiche”.
Novità non buone per le donne sieropositive in gravidanza
Le donne sieropositive che stanno pensando ad una gravidanza non devono usare l’ antivirale dolutegravir (venduto anche in Italia), perché sembra aumentare il rischio per i bambini di difetti al tubo neurale, come la spina bifida.
L’ avviso arriva dall’ Agenzia europea del farmaco (Ema), che sta valutando i risultati preliminari di uno studio, che ha individuato 4 casi di spina bifida nei bambini nati da madri che prendevano questo farmaco al momento del concepimento.
Il dolutegravir è autorizzato in Europa dal 2014 e viene venduto anche in Italia con il nome di Tivicay e, in combinazione con lamivudina e abacavir, come Triumeq. Non cura l’ infezione da hiv ma può ritardare i danni prodotti al sistema immunitario e l’ insorgenza di infezioni e malattie legate all’aids.
Lo studio da cui emergono i rischi è stato condotto in Botswana sui bambini nati da 11.558 donne sieropositive, e ha mostrato che lo 0,9% dei bambini (4 su 426), le cui madri sono rimaste incinta mentre assumevano dolutegravir, avevano un difetto del tubo neurale, rispetto allo 0,1% dei bambini (14 di 11.173) le cui madri hanno preso altri medicinali per l’ hiv.
I risultati finali sono attesi tra circa un anno.
Nell’attesa delle nuove valutazioni, l’ Ema raccomanda alle donne che pianificano una gravidanza di non assumere dolutegravir, e a quelle in età fertile che lo stanno prendendo di usare un contraccettivo efficace. Se si è incinta e si sta assumendo il farmaco, bisogna consultare il medico, ma non interromperlo senza prima averne parlato con lui, in quanto ciò potrebbe danneggiare lei e il feto.
La raccomandazione per gli operatori sanitari
La raccomandazione per gli operatori sanitari nell’Unione europea è dunque di non prescrivere dolutegravir alle donne in età fertile che pianificano una gravidanza, ed escludere la gravidanza prima di iniziare il trattamento con questo prodotto nelle donne in età fertile. Se la gravidanza è confermata nel primo trimestre e la donna sta prendendo il dolutegravir, bisogna passare ad un trattamento alternativo.
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